Improvvisazione Jazz (anche se NON suoni Jazz)

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Improvvisazione jazz (anche se NON suoni jazz)

“Improvvisazione Jazz”, lo spauracchio di ogni musicista contemporaneo!

Da una parte è vista come un traguardo quasi inarrivabile, qualcosa a cui solo i musicisti più avanzati è concesso di accedere: «Sai, quello fa improvvisazione jazz…»

Dall’altro, la strada verso quel traguardo pare lastricata di formule matematiche complicatissime, scale dai nomi improbabili, roba fatta per musicisti senza senso melodico

Improvvisazione Jazz: come funziona?

Allora, mettiamo in chiaro: pensare di spiegare “l’improvvisazione jazzin un articolo sarebbe semplicemente folle… non bastano libri interi, figuriamoci!!

Tuttavia…

… qualche indicazione possiamo darla, quindi proviamoci.

Improvvisazione Jazz: il principio fondamentale

Alla base di tutta l’impalcatura dell’improvvisazione jazz c’è un’intuizione che deriva dai gloriosi anni del Be-Bop, con personaggi come Dizzie Gillespie, Thelonious Monk e soprattutto Charlie Parker, che è diventato l’icona stessa del genere.

Charlie Parker

Qual è questa intuizione?

Presto detto: suonare sugli accordi, ok. Suonare a partire dagli arpeggi, ok. Ma poi…

… andare oltre, e trattare ogni accordo come una “entità” a sé.

In altre parole, puoi scegliere di gestire ogni specie di accordo (major7, 7, minor 7, m7b5…) indipendentemente dalla sua funzione tonale, e decidere autonomamente le estensioni e le alterazioni da applicargli.

Suona complicato? Beh… LO È!!

Proviamo a scomporre il processo in una specie di “algoritmo”, una sequenza logica:

  1. identifichi la specie dell’accordo;
  2. parti dalla sua “identità-base” (= arpeggio);
  3. aggiungi estensioni e/o alterazioni a piacimento.

Ovviamente le implicazioni sono innumerevoli. La più importante… la vediamo alla fine (!), intanto proviamo a capire alcuni degli approcci possibili per arrivare a gestire tutta questa complessità in tempo reale

Improvvisazione Jazz: approcci teorici possibili

Presupposto sempiterno, immortale, da scolpire nella pietra:

se uno ti dice che «l’approccio giusto è questo», egli è un cogl… ahem… un impostore, e tu dovrai fuggirne il più lontano possibile.
Senz’indugio alcuno.


Il punto è che puoi arrivare allo stesso risultato “pensandolo” in modo diverso, seguendo un “percorso mentale” diverso…

… e ciascuno di questi percorsi avrà vantaggi e svantaggi, ma in ogni caso è molto difficile immaginare di poter dire «Io possiedo l’approccio giusto»!!

Approccio “per Accordi”

Uno dei miei primi lavori da chitarrista professionista fu con una jazz band fatta di signori di una certa età, molto legati alle sonorità classiche del Be-Bop.

La primissima cosa che mi disse il “titolare” (che era il contrabbassista) fu:

«Ehi, qui si suona sugli accordi, non con le scale!»

Che cosa intendeva? Banalmente, che per il tipo di sonorità ricercate da loro, era importante far sentire distintamente ciascun accordo, con un utilizzo molto marcato degli arpeggi e poi magari estensioni e alterazioni dosate con cura.

In pratica, di fronte a un accordo “Minore Settima”, lo pensi così:

1 b3 5 b7 9 11 13

PRO: fai sentire perfettamente gli accordi!
CONTRO: sei molto vincolato, rischi di fare un po’ sempre le stesse cose…

Esempio

Approccio “per Scale”

All’estremo opposto, ci sono i musicisti che ragionano “per scale”:

  • minore 7? Dorico!
  • 7 dominante? Misolidio!
  • e così via…

In pratica, di fronte a un accordo “Minore Settima”, lo pensi così:

1 2 b3 4 5 6 b7

PRO: è facile suonare linee veloci, prendi e vai!
CONTRO: è molto molto difficile far sentire davvero gli accordi…

Esempio

Quindi?

Ovviamente ci sono moltissimi altri approcci e “sotto-approcci”: per esempio, con le scale c’è chi le vede per via “parallela” e chi per via “derivativa”… se non ti è chiaro, non preoccuparti, andando avanti diventerà tutto cristallino, nitido!

Altrettanto ovviamente…

… è indispensabile a un certo punto fare una scelta!!

Improvvisazione Jazz: da dove partire?

Proprio perché ci sono così tante possibili strade per arrivare allo stesso risultato, bisognare prendere delle decisioni.

Teniamo conto che l’obiettivo finale è comunque lo stesso per tutti:

suonare sugli accordi con competenza e naturalezza, in tempo reale.

“Come” si arriva a questo risultato è un problema di metodo, appunto. Ma proprio per questo, io sono convinto che bisogna partire da 2 presupposti importanti:

  1. qualunque cosa pratichiamo, deve coinvolgere l’Orecchio almeno tanto quanto la testa e le mani.
  2. la relazione tra quello che suoniamo e l’accordo sottostante deve essere chiara, immediata, veloce da pensare.

Improvvisazione Jazz: l’Orecchio

Ci sono moltissimi chitarristi tecnicamente mostruosi, teoricamente preparatissimi, capaci di superare un test scritto su scale e modi a punteggio pieno…

… e che però, messi ad ascoltare quelle stesse cose, fanno una fatica mostruosa a riconoscerle a orecchio

… oppure non riescono a immaginarle senza avere la chitarra in mano, non riescono a cantarle

… questo è pazzesco, incredibile, non va bene!!

Ne avevamo già parlato: l’Orecchio viene prima di tutto.

Improvvisazione Jazz: la Velocità del Pensiero

Un altro problema straordinariamente frequente per chi si accosta all’improvvisazione jazz è quello per cui il chitarrista sa perfettamente cosa suonare, magari sa anche che suoni ne usciranno fuori…

… ma la velocità di elaborazione del pensiero musicale è radicalmente più indietro rispetto alle mani e alla tecnica!

In pratica, di fronte a una progressione di accordi, tu:

  • sai cosa suonare su ciascun accordo;
  • sai dove trovare quelle note sulla tastiera della chitarra;
  • magari sai persino che suoni ne verranno fuori, eppure…

… non riesci a stare appresso a tutto in tempo reale!!

Questo può dipendere fondamentalmente da due cose:

Problema #1: processi mentali troppo laboriosi

Metti che a un certo punto hai un accordo “Dbmaj7”. Vuoi dargli una sonorità “lidia”, cioè con l’11a eccedente.

Se tu riesci a “pensarlo” direttamente come un “Reb lidio” il processo è molto veloce: tutto quello che devi fare è prendere una “diteggiatura lidia” e piazzarla nel tasto giusto, come fai con una dannata, banalissima pentatonica – niente di più!

Se invece lo pensi in maniera “derivativa” (che all’inizio magari ti sembrava più semplice), ecco che sei nei guai: «Aspetta, lidio è il 4° grado, quindi qual è la scala maggiore di cui Reb è il quarto grado? Mmh… Sol bemolle? No, un attimo… ah, sì, ecco: La bemolle!»
E il tempo del tuo assolo è già finito!!

Problema #2: non “pensare avanti”

Questo è un punto successivo, ma ne accenniamo brevemente: ricordi quando la mamma da bambino ti diceva «Guarda dove metti i piedi!»?

Ovviamente non si riferiva al piede già a terra (con quello, se hai pestato una cacca… ormai l’hai pestata!!), ma piuttosto al piede ancora per aria, che deve ancora toccare per terra.

Con l’improvvisazione jazz è un po’ così: ci concentriamo sull’accordo che sta suonando adesso, mentre la chiave è essere già mentalmente proiettati sul prossimo accordo!!

Improvvisazione Jazz: su che cosa studiare?

Tenuto conto di tutto quello che abbiamo detto fin qui… su che cosa studiare? Da quali libri, metodi, manuali partire? Da che fonti abbeverarsi per iniziare il proprio viaggio nei meandri dell’improvvisazione jazz?

Ci sono moltissimi materiali didattici, come puoi immaginare. Alcuni sono eccellenti, altri onestamente sono vera e propria monnezza – anche parecchi piuttosto noti, ahimè…

In ogni caso ci sono 2 libri non famosissimi in Italia ma che davvero sono senza mezzi termini il miglior “Starter Kit” per il chitarrista che vuole accostarsi all’improvvisazione jazz:

Ted Green, “Jazz Guitar Single Note Soloing”, 2 volumi

La PRAXIS-library è una biblioteca di centinaia di migliaia di pagine tra metodi, manuali, riviste, spartiti…

… e niente, niente regge il confronto con questi 2 volumi.

Il segreto? Ted Greene “smonta” ogni famiglia di accordi a partire dalla triade e poi ci aggiunge un grado alla volta, lo toglie, ne mette un altro…

… in questo modo, l’Orecchio si abitua in maniera fantastica al SUONO di ciascun grado, appunto, che non diventa più un “pallino di una diteggiatura”, e neanche un’informazione “teorica”, ma al contrario un ingrediente MUSICALE, con un suo proprio “sapore”, come una spezia!

Tuttavia…

Nonostante i 2 volumi di Ted Greene siano la risorsa migliore disponibile fino ad oggi per iniziare il proprio percorso nell’improvvisazione jazz e portarlo a livelli anche molto avanzati…

… restano 3 problemi non proprio di poco conto:

1. il pentagramma

niente tab, neanche l’ombra. Disegnini brutti fatti a mano (sono libri un po’ datati…) e pentagramma. Nient’altro che pentagramma. Questo taglia fuori una bella fetta di chitarristi, perché ahimè, purtroppo la lettura musicale non è proprio la specialità della categoria, diciamo…

2. la lingua

è tutto in inglese. Che magari è anche un problema sormontabile, eh (quantunque, i tecnicismi non è che aiutino), però messo insieme al pentagramma…

3. il linguaggio

è una roba proprio jazz. Strettamente jazz. Poi sta a te casomai prenderla e trovare il modo di applicare i concetti e le cose che impari, ma di per sé è una roba proprio jazz. E è vero che è da tutto l’articolo che parliamo di “improvvisazione jazz“, ma insomma, magari avere i meccanismi, e poi decidere io dove applicarli, non sarebbe meglio?

Improvvisazione Jazz: quindi?

Quindi… la soluzione c’è. La prossima volta vedremo l’ultimo pezzetto mancante prima di poterla affrontare sul serio, nel frattempo…

chitarra in mano,
buona praxis!

il coccia

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